BORGO CUSENZA
Chiamato oggi impropriamente Borgo Cusenza, questo luogo era già citato da Cordici (1586-1666) come “Bagghiu di l’Acci” e così recitava:
“Non ha eguali nostro territorio che renda la carne del bestiame che ivi pascola più dolce al gusto di questo fego (feudo). Sotto vi si sprofonda una caverna sotterranea spaziosissima con culatura d’acqua, che gocciolando si impetrano e ne rimangono le candele a guisa di cera bianca attaccata al letto.”
Si ha notizia che questo luogo fu abitato dalla famiglia Cusenza di San Vito Lo Capo già nel 1820 (Vincenzo Cusenza), ma forse si può risalire a data più antica. Questo borgo veniva chiamato Bagghiu di l’Acci per il vicino Monte Acci ( 829 m.) e gli abitanti prendevano il soprannome di accialori. In tempi più remoti, e fino al 1920/30 i Cusenza abitavano il borgo per tutto l’arco dell’anno. Dopo fu abitato solo stagionalmente, infatti le donne e i bambini salivano da San Vito al Borgo nel periodo estivo e si fermavano fino al mese di dicembre, periodo di semina del grano.
Anche gli uomini finita la semina scendevano in paese a turno per non lasciare il borgo incustodito e salivano ogni qual volta si doveva svolgere il lavoro nei campi. Solo i pastori erano stanziali. Nel borgo abitavano circa 14 famiglie per un numero complessivo di circa 40 persone fra donne e bambini. Era una società patriarcale improntata all’autosufficienza.
I coltivi: frumento, avena, sulla, fave. Sommacco, frassino, vigna. Palma nana e Ampelodesma che fornivano il maggior reddito. Pochi ortaggi come: pomodori, zucchine, cipolle. Tutti i tipi di frutta: gelso, melocotogno, pero, melo, fico e fichi d’india di ottima qualità e senza semi.
L’acqua: a circa un chilometro e mezzo dal Borgo c’è un abbeveratoio dove si può leggere la data 1696, utilizzato solamente per dissetare il bestiame al pascolo in quanto lontano dalle case. Invece per abbeverare i muli e gli ortaggi usavano un pozzo nel panoro davanti le case chiamato “chianu puzzu” .
Nel canale dell’Acci (Canalone di mastro Peppe Siino) c’è una fontana dove andavano a prendere l’acqua per bere caricando i muli con le quarantine (bottacci di legno col tappo). Andavano all’acqua anche due volte al giorno. Questa fontana era utilizzata anche dalle donne per lavare la biancheria. Per detersivo usavano la cenere ottenuta dalle pale di fichi d’india (cladodi) secchi che veniva insaccata e filtrata.
Le feste: per San Giuseppe facevano le vampe disponendosi attorno al fuoco e lo saltavano al grido di VIVA SAN GIUSEPPE!.
Processione dell’8 settembre in onore della Madonna in concomitanza con la grande manifestazione che si svolgeva in Paese.
Nell’abitazione di Gabriele Cusenza stendevano un filo e lo adornavano con edera raccolta nelle rocche vicino Portella San Giovanni a circa 4 Km dal Borgo. In un altare improvvisato addobbavano il quadro della Madonna con gerani, rose e un fiore a forma di campanella azzurro e rosso. Gabriele Cusenza si vestiva da prete dando inizio alla Processione che si svolgeva per le strade del Borgo, il tamburo che simboleggiava la banda era improvvisato da una pentola e dai mestoli. Dopo il rosario mangiavano fave e ceci caliati (abbrustolite) e dei dolci che preparava una signora che in mancanza di teglie usava i coperchi delle pentole.
Gli spostamenti: d’inverno gli uomini a turno andavano a trovare le famiglie in paese. Chi scendeva avvertiva gli altri. Ritornando caricava i muli con bisacce o zimmili pieni di viveri, biancheria, posta. Anche i mobili, pochi per il vero, venivano portati dal paese sui muli. Quando si costruiva una casa il muratore si stabiliva al borgo per tutta la durata del lavoro.
Il torchio ancora esistente fu costruito pezzo per pezzo in loco. Il basolato dei pavimenti veniva estratto dal Monte Verno a circa 4 – 5 Km, dal Borgo, ribattezzato monte Inferno perché d’inverno faceva un freddo terribile ed era estremamente ventoso. I pastori che dovevano portare “il frutto” in paese oltre la trazzera reggia usavano due strade alternative a secondo della stagione e delle condizione climatiche.
Naturalmente tutto il ritmo di vita e gli spostamenti ruotavano attorno al lavoro dei campi e delle stagioni. La semina e il raccolto del grano erano il momento più importante e culminante. Ognuno aveva il proprio posto d’aia che puliva meticolosamente prima della “cacciata”. Prima di iniziare dicevano un’orazione. Per questa operazione nessuno chiedeva mai aiuto ad altri, a volte venivano aiutate dalle donne raramente dai bambini.
Nel periodo della guerra quasi tutte le famiglie di giorno si spostavano nelle grotte chiamate “Mastro Peppe Siino” dal nome del proprietario, ubicate nel canalone che dal Borgo scende alla tonnarella dell’Uzzo. Qui c’era la macina per il grano, il forno, un torchio. Così che in caso di pericolo potevano sostare a lungo. Spesso gli abitanti venivano vessati dai banditi e spesso costretti a dare ospitalità ai ricercati che trovavano rifugio negli anfratti di queste contrade. Da questi racconti si evidenzia che la vita in questo Borgo se pur fatta di duro lavoro era comunque pieno di serenità e armonia.
(testi tratti da diverse interviste del 1993 al Sig. Pietro Cusenza)